domenica 28 febbraio 2010

Tutto è bene quel che finisce bene

Bene, Giada, Mattia e Alessandro sono riusciti a mandare un sms a casa, ma le comunicazioni sono ancora difficili...

Questo è il mio articolo sulla Repubblica come corrispondente improvvisato

Link articolo Repubblica.it

Tomoyuki mi sveglia nel cuore della notte. Dal suo inglese stentato riesco solo a capire che l'aeroporto di Santiago è stato chiuso e il suo volo annullato. Sono le 5 del mattino e mi chiedo cosa gli passi per la testa, svegliarmi per dirmi che è costretto a rimanere sull'isola. Poi sento le sirene, i cani che abbaiano, le galline nel giardino dell'ostello che sembrano avere la rabbia. Solo ora Tomoyuki si premura di dirmi che c'è un allarme tsunami sull'isola. Sono arrivato due giorni fa e mi becco un allarme tsunami?

Nella sala comune dell'ostello la tv è già accesa sul notiziario speciale. Arrivano prime notizie, dati, statistiche. Ma, com'è comprensibile, ognuno pensa a parenti e amici.

Ci dicono che esiste la possibilità che uno tsunami possa arrivare da queste parti verso le 9, ma qui siamo due ore indietro rispetto a Santiago e non ci spiegano su quale fuso orario dobbiamo regolarci. L'orologio sullo schermo tv è buono solo per aumentare il nervosismo. A quanto pare, soltanto la spiaggia di Anakena nella zona nord orientale dell'isola ha visto una leggera mareggiata. Gli abitanti della zona costiera sono stati trasportati per sicurezza verso l'interno dell'isola. Alcuni turisti fanno di tutto per rompere le scatole alle autorità e si dirigono verso la spiaggia perché "vogliono vedere l'arrivo delle onde". Certa gente ha ancora il cellophan intorno al cervello. Per fortuna le onde non arrivano, hanno già perso tutta la loro forza prima di riuscire a percorrere i 3700 chilometri che ci separano dalle coste cilene. L'isola non fa nemmeno in tempo a svegliarsi completamente che già tutto è tornato alla normalità. 

Anche da questi imprevisti si imparano molte cose. Il proprietario dell'ostello non riesce a mettersi in contatto con i genitori nel Cile continentale, eppure sorride e si scusa per non averci ancora preparato la colazione. I turisti cileni e giapponesi sono i più tranquilli, gli unici qui ad avere una cultura anti-sismica, quella che gli viene insegnata a scuola. Qualche giorno fa ero a Valparaìso, ospite di Alejandro, ingegnere di professione. Mi raccontava di come le case cilene vengano costruite utilizzando la stessa quantità di cemento che in Europa si userebbe per un ponte. Ci sono cose che un viaggiatore non riesce a capire. Uno dei terremoti più forti degli ultimi trent'anni sta causando "solo" un centinaio di vittime. In Cile le infrastrutture sono davvero anti-sismiche, qui una Impregilo qualsiasi non potrebbe mai esistere. Imparo anche che i numeri sparati a caso dalle tv non aiutano né chi si trova sul luogo del disastro, né i familiari lontani, ma servono solo a suscitare la compassione di chi non è toccato e ad aumentare lo share.

Il sorriso degli isolani, la loro tranquillità e il ritmo della vita pasquense mi infondono fiducia e sicurezza. Sto ancora aspettando un messaggio dai miei compagni di viaggio lasciati sulla terraferma, più una risposta da almeno un'altra decina di persone conosciute su e giù per il Cile. Qui dicono che i Moai abbiano lo sguardo verso l'interno dell'isola per proteggerla con il Mana, la loro energia spirituale. Ma ci sono anche sette statue rivolte all'infuori, verso il mare. Se riesco ad avere buone notizie da tutti i miei amici mi sa che invento una nuova religione.

sabato 27 febbraio 2010

Ultime notizie

Come avrete già sentito c'è stata una bella scossa in Cile. Mi trovo sull'Isola di Pasqua, ben lontano dalle coste cilene. Qui la situazione è tornata alla normalità già da un pezzo. C'è stato solo un allarme tsunami in via precauzionale, hanno evacuato gli abitanit costieri, ma niente di più.

Aspetto di avere notizie da Alessandro, Giada e Mattia. Credo che dovrebbero trovarsi dalle parti di Santiago, dove il terremoto ha causato comunque meno danni. Qui mi dicono che ci sono ancora problemi con le comunicazioni, quindi c'è solo da aspettare e niente allarmismi... Ci sentiamo prossimamente.

martedì 23 febbraio 2010

"Nessun uomo è un'isola..."


"...completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto."
Questi versi del poeta metafisico inglese John Donne riassumono alla perfezione le avventure del viaggiatore solitario. Qualche tempo fa mi trovavo in Argentina a parlare con Mel, un simpatica ragazza inglese. Le chiesi com'era viaggiare da sola, ma lei non capiva la mia domanda. "In realtà, non si viaggia mai soli - mi rispose - si raccoglie sempre un sacco di gente per strada."
Certo, esistono svantaggi. Non stai viaggiando con gli amici con cui avevi programmato l'avventura; in certi casi non hai nessuno a coprirti le spalle (leggi: quando devi andare in bagno e non puoi lasciare il tuo zaino da solo); non parli la tua lingua, che è ciò che più identifica una persona; in più, inizi ad odiare le stazioni degli autobus, perchè è lì che saluti la gente raccolta per strada, per rivederla chissà se e quando. Ma il piatto della bilancia è altrettanto pieno dall'altra parte. Su tutto, quando si è da soli, è la gente che raccoglie te per strada. È più facile rompere il ghiaccio, meno inibizioni, più voglia di conoscere. Nell'ultima settimana sono stato un paio di giorni a Valdivia, cittadina universitaria in riva al Pacifico e Villarrica, nel bel mezzo della zona lacustre nazionale, dove tutti i cileni spendono le ultime giornate delle loro vacanze agli sgoccioli. Andiamo schematicamente per ordine:
Città: Valdivia.
Vagabondi: qui ho raccolto per strada Tal, già da tre mesi e mezzo lontano dalla sua patria, Israele. A nostra volta siamo stati raccolti per strada da Wes e Nora, due giovani americani che lavorano come lettori d'inglese all'università di Santiago.
Visite turistiche: musei, mercato del pesce, leoni marini dappertutto nel fiume.
Punti di maggior interesse: Punta Curiñanco. A un'ora di autobus da Valdivia, si estende il santuario protetto di Punta Curiñanco, una foresta con alberi nati qualche secolo addietro. Il cammino in mezzo al verde non ha niente di diverso in realtà. Fino a che non si giunge alla fine della foresta, dove numerosi alberi ti aspettano quasi in cerchio, mentre sullo sfondo, a picco, le onde dell'Oceano Pacifico cercano di salire sulle rocce. Lo scheletro di un leone marino sulla spiaggia mi permette di vedere questo animale sotto un'altra luce.
Delusioni: Valdivia è la città dove è successo il fattaccio. Parlo del leone marino che quasi staccava la testa a morsi a Sebastián Piñera, il soprannominato Berlusconi cileno. Ebbene, il leone non ha retto alla pressione dei media che volevano la sua testa, pare sia deceduto qualche tempo fa, dimenticato da tutti.
Curiosità: anche le pecore si mettono in fila aspettando l'autobus sotto le pensiline. A Punta Curiñanco ho anche acquistato la Pepsi più economica della storia: 150 pesos, piu o meno 10 centesimi di euro.


 

Città: Villarrica, entrata nella regione dei laghi.
Vagabondi: Sam, Ben e Angie, tre studenti americani approdati in Cile dopo un viaggio di 36 giorni in nave che, per motivi di studi (oceanografici), li ha portati da Thaiti fino alle coste del Sudamerica.
Visite turistiche: lago Villarrica, circuito in bicicletta con vista del Vulcano Villarrica, Parque Nacional Villarrica, Termas Los Pozones, festa popolare indios Mapuche.
Punti di maggior interesse: Santuario El Cañi. Un altro santuario, stavolta non a picco sull'oceano ma in cima a una montagna, raggiungibile dopo una salita vertiginosa di tre chilometri di distanza in cui siamo passati da 400 a 1100 metri sul livello del mare. No davvero, il mio fisico continua a sorprendermi. In cima, la vista del vulcano e una laguna dimenticata aspettano solo me e il fido Sam per scattare una paio di foto versione "anche l'uomo è un animale stupido" (le più stupide, purtroppo, le ha fatte tutte lui).
Delusioni: la scalata al vulcano. Troppo costosa, mi è stata sconsigliata da più di uno. Una caduta in bicicletta il giorno prima e il conseguente lieve dolore al fondoschiena mi hanno chiarito definitivamente le idee.
Curiosità: il mote con huesillo. Bevanda estiva cilena, è uno sciroppo che si ottiene dalla pesca, a cui si aggiungono chicchi di grano (ma non saprei spiegare in che modo vengono trattati). Il giusto premio per Sam e il sottoscritto alla discesa dal Santuario Cañi, gentilmente servitoci da una signora a casa sua, vicino alla recepcion del santuario, in un atmosfera surreale tra canti indù (la signora era di religione Hare Krisna) e un ottimo gelato alla banana.
 

Prossima tappa e aggiornamenti vari: Mattia Alessandro e Giada sono giunti a Pucon, città a mezz'ora da Villarrica, praticamente il punto di partenza di tutte le cose che ci sono da fare anche a Villarrica. Si sono divertiti (e, immagino, bagnati) con un po' di kayak. Oggi o domani scaleranno i vulcano Villarrica. Io sono già da un paio di giorni a Valparaiso, città di mare a un'ora da Santiago del Cile.

sabato 20 febbraio 2010

Italiani strana gente


Si incontra davvero tanta strana gente lungo il cammino. E quanto più si crede di conoscere un certo tipo di persona, più si viene sorpresi ad averle catalogate male.

Esistono tanti tipi di italiani, ma uno come Massimo non mi era ancora mai capitato di incontrarlo. A suo modo, ricorda l'Abatantuono viuleeeento dei tempi andati, scurrile e caciarone, nonostante sia bresciano. Lo conosciamo sulla maledetta nave cargo Puerto Natales - Puerto Montt, e da lì si unisce a noi per visitare l'Isola di Chiloè. Sui 45 anni, la cosa che colpisce di più è la sua chiassosa e sempre improvvisa risata. Si vede che è uno che ne ha viste parecchie e infatti ha girato i cinque continenti in lungo e in largo. Ha un sacco di aneddoti da raccontare, ma tutti condividono il medesimo incipit: "Cazzo, una volta...", da quella volta in Cina in cui il tassista non conosceva la strada e ha dovuto guidare lui, fino alle avventure amazzoniche, in cui ha dovuto assaggiare cervello di scimmia crudo per paura di far arrabbiare gli indios con cui era venuto a contatto. Verità? Fantasia? Chissà!
Il giorno prima che le nostre strade si separino ci porta a bere in un bar, che si rivela poi essere una birreria a metà strada tra un bordello e una casa chiusa per la gente del posto. Ce la ridiamo, e tra un "hola mami," e un "mi amor" alle signorine, Massimo ci racconta la sua vita. Che potrebbe riempire il quaderno di appunti di Salgari per un altro paio di romanzi di Sandokan. Quando ci racconta dei momenti difficili della sua vita lo fa con tanta sincerità che ci risulta impossibile non credergli: la sua carriera da motociclista, l'incidente, l'ex-moglie, la vita da camionista...

Purtroppo non gli ho chiesto il permesso di scrivere di lui, quindi dovrete accontentarvi di questo. Ma non dimenticate di chiedermelo dal vivo, perché è una storia che merita di essere raccontata. E anche i miei aneddoti, a quel punto, inizieranno con "Cazzo, una volta..."

mercoledì 17 febbraio 2010

La compagnia dell'ostello si divide...

...per un paio di settimane o giù di lì. Ho appena lasciato gli altri due cervelli e mezzo (davvero, non pensavate che mi sarei auto-incluso nella gara al mezzo cervello?) sull'isola di Chiloè - di cui vi parlerò un'altra volta, non appena avrò un po' più di tempo. E perchè mai la compagnia si divide? Per due semplici ragioni.
1. Il sottoscritto ha deciso di apportare un cambiamento all'itinerario e ritornare a Buenos Aires per fare visita a dei compaesani emigrati in Argentina mai conosciuti (o di cui non ho memoria). Affinché la deviazione sia possibile, ho bisogno di guadagnare qualche giorno di vantaggio sugli altri.
2. Il sottoscritto ha deciso di apportare un altro piccolo cambiamento all'itinerario, già che c'era, che lo porterà dritto dritto verso una meta segreta, nei suoi sogni da bambino. 
Ovviamente svelerò tutto solo a tempo debito, cercate di non farvi mangiare vivi dalla curiosità.
Se ogni cosa va secondo i piani dovremmo riunirci nel nord dell'Argentina, giusto in tempo per visitare le cascate di Iguazù. E se avete in mente la mappa del Sudamerica, capirete che giro tortuoso stiamo facendo, ma tant'è.

La prima tappa in solitaria mi ha portato a Puerto Varas, bagnata dal lago Llanqhuie ai piedi del vulcano Osorno e considerata la città delle rose. E di rose ce ne sono un bel po', non solo nei giardini delle case, ma anche nei viali e persino nei divisori delle corsie stradali. È anche una città dalle influenze teutoniche, architettoniche e non. Fu colonizzata in altri tempi da cittadini tedeschi che cercarono di riplasmare qui e nei dintorni i ricordi della loro madrepatria. E, accanto ai bambini con spiccata fisionomia indio, non è poi così strano veder spuntare una ragazzina bionda con trecce alla Pippi Calzelunghe (sì sì, lo so che non era tedesca). Non ci si scompone più di tanto neanche per gli alberghetti tedeschi che hanno come simbolo una bella aquila nera. Evviva!
Varas sarebbe famosa anche per gli sport d'acqua: canoa, rafting, kayak, canopy... tutti nomi strani che farebbero venire tanta voglia di passare dal livello "principiante" al livello "ancora principiante, ma almeno c'ho provato". Purtroppo, sono due giorni che la febbre non mi lascia in pace e lo stomaco neppure (maledette cozze, avrei dovuto diffidare delle loro dimensioni spropositate). Tradotto per i meno svelti, significa che la prima giornata la passo a dormire in ostello e il mio portafogli la passa facendomi le feste. Il secondo giorno vale la pena di essere raccontato soltanto per il viaggio in microbus che mi ha teletrasportato (hahah) fino a Petrohue, un paesino in rivo al Lago Todos Los Santos, anche conosciuto come il lago di smeraldo (guardare il colore delle sue acque per credere). A quanto mi è parso di capire, questa specie di microbus sono considerati come dei taxi, ma con mete e prezzi predefiniti. Sono passato dal microbus fricchettone dell'andata a quello religioso del ritorno. Il primo aveva attaccato sulla tappezzeria ogni sorta di adesivo. Peccato non essermeli annotati tutti, ma un paio li ricordo: "Signor turista, il denaro è pieno di microbi, non si ammali, lo lasci qui", "Se qualcuno ti parla male di me, chiedigli quanto mi deve". Tra una fermata e l'altra, l'autista ha anche il tempo di portare il giornale a dei carabineros di una piccola e sperduta stazione nei boschi, di consegnare uno scatolone di 25 chili di salmone a un ristorantino sulla strada, e, perchè no, anche il pane e il latte alla moglie (non sto scherzando!). Al ritorno, il bus religioso accoglieva i passeggeri con un paio di crocifissi e rosari sparsi e un bell'adesivo sullo specchietto retrovisore: "Dios es mi piloto". Avanti tutta!
Qui mi sento di pubblicare la seconda puntata della rubrica "Non sparate sulla croce rossa". C'è una razza di turista che sarebbe da fucilare senza neanche l'ultimo desiderio a disposizione: IL TURISTA VECCHIO!!! Dove per vecchio mi riferisco all'anima, non alla carta di identità. Com'è possibile che questa gente viaggi accontentandosi di farsi una foto con l'attrazione turistica di turno per poi infilarsi di nuovo nell'autobus cinque minuti dopo? Com'è possibile che glielo si lasci fare? Non pensavo che le piccole cascate di Petrohuè fossero così famose da attirare un'orda famelica di vecchiacci. Che, per essere tali, devono rendersi antipatici in tutto e per tutto: il vecchiaccio scatta foto non appena mette piede fuori dal pulman; il vecchiaccio scatta foto dove non c'è oggettivamente nulla di interessante; il vecchiaccio intasa le passerelle camminando e fermandosi nel mezzo, laddove non puoi superarlo né a destra né a sinstra; il vecchiaccio ti chiede di fargli una foto mettendo in mostra una dentiera che ha visto tempi migliori. 
Diventate amici di questo blog, accoppate anche voi un turista vecchiaccio. Grazie.


lunedì 15 febbraio 2010

Tre lupi di mare e mezzo e un maledetto mazzolin di fiori

All'orizzonte, il Cile! Attraversiamo lo stretto che separa la terraferma cilena dalla Terra del Fuoco accompagnati dalle acrobazie di tre simpatici delfini di commerson, o toninas come sono conosciuti qui, con il loro caratteristico colore bianco-nero simile all'orca. Un mare di nuvole ci dà il benvenuto e mi fa ritrovare il gusto perduto da tanto tempo di dare una forma a ognuna di esse. Tutto sembra andare per il meglio in terra cilena.
NIENTE DI PIÙ SBAGLIATO!
La nostra meta è Puerto Natales, base per tutti i viaggiatori diretti al Parque Nacional Torres del Paine. Le cime del Torres del Paine sono l'icona montana della Patagonia. E qui iniziano i nostri guai. Poiché dobbiamo prendere una nave per risalire la costa cilena (a meno di non ritornare in Argentina e rifare la trafila delle dogane più a nord), abbiamo soltanto due giorni per visitare il parco, che di per sé è immenso. Disastro completo: non solo spendiamo un sacco di soldi per l'entrata ma le connessioni all'interno sono care e pessime per chi non ha molto tempo a disposizione come noi.
Apriamo una nuova rubrica, "Non sparate sulla croce rossa". Per esperienza personale, sono pochi i francesi con cui ho legato o con cui si andava d'accordo, diciamo che non corre buon sangue tra di noi. Sulla cima del parco incontriamo questi turisti francesi. Uno di loro ci chiede se abbiamo delle pile per la sua macchina fotografica. Sfortunatamente, le nostre macchine hanno tutte una batteria al litio ma, da brava persona, gli offro di scattare alcune foto con la mia e di inviargliele al suo indirizzo email. Lui gentilmente declina. Dopo cinque minuti ci raggiunge in cima una coppia americana. Stessa storia, stessa scena. "Ha per caso delle batterie per la mia macchina fotografica?" "No, ma se vuoi posso scattare alcune foto e mandartele via email". L'amico francese non ci pensa due volte e accetta, tutto davanti a i nostri occhi. Mah!
Colgo l'occasione per salutare con tanto tanto affetto gli amici francesi che seguono il blog... ciao Celine :)

Giunge l'ora della crociera. Eufemismo, stiamo pagando a caro prezzo un biglietto su una nave cargo per poi fare il giro dell'oca ogni volta per trovare la nostra cabina. La promessa di paesaggi meravigliosi e di giornate spese ad ammirare i fiori cileni viene puntualmente distrutta da quattro giorni quattro di pioggia. Per non parlare del Golfo di Penas che, mantenendo fede al suo nome, ce ne fa vedere di tutti i colori con le sue acque turbolente. A quanto pare, solo una ventina di persone erano nella sala film e un'altra decina nel bar. Il resto - parliamo di altre 170 persone - si metteva in fila nei bagni per poter vomitare l'ottima (altro eufemismo) cena appena consumata. Un vivo rigraziamento a Giada, per aver dato quel tocco di avventura e vita vissuta al mio zaino, vomitandoci sopra. Onore invece a Mattia, l'unico in ottima salute a quanto pare.

Riusciamo soltanto a svegliarci all'alba per scattare un paio di foto al Pio XI, impressionante ghiacciaio in terra cilena. 

La crociera si chiude con il racconto da parte dell'equipaggio della disavventura occorsa a Sebastián Piñera, il neo presidente cileno, noto per essere considerato il Berlusconi dell'emisfero australe (se non ricordo male, i punti in comune sono: proprietario di una squadra di calcio, proprietario di televisioni, proprietario della compagnia aerea cilena, passione per i lifting). Pare che il poveretto volesse essere immortalato in una foto sotto braccio con un leone marino che, non volendo fare la parte della scimmietta, si ribella. Sembra anche che il povero leone sia stato attaccato da tutto e tutti e tacciato di essere un leone comunista. Dove l'ho sentita? Qui sopra l'immagine per i posteri.


Prossima tappa: Isla de Chiloé

lunedì 8 febbraio 2010

Oltre le colonne d'Ercole



O anche: oltre le frontiere d'Ercole. Per giungere al mondo alla fine del mondo, il punto più australe del nostro pianeta o presunto tale, c'è di mezzo... la FRONTIERA!

Il nostro autobus somiglia più a un mezzo antisommossa, come si vede dalla foto. Pare che lo sport preferito dei ragazzini sia quello di lanciare sassi contro gli autobus, per questo le tendine dei finestrini sono sempre tese, per rimbalzare eventuali oggetti non identificati. Quando gli chiedo se ci dobbiamo preparare a una guerriglia urbana, l'autista mi rassicura e dice che quella è solo una precauzione, poichè la strada non è asfaltata e le pietre possono rimbalzare ovunque. Un'altra strada non asfaltata? Quasi quasi preferivo i ragazzini!
Come se non bastasse, il televisore dell'autobus non prevede alcun film per le prime due ore di viaggio. In compenso ci spara la discografia completa, sottoforma di videoclip da soap opera, di Marco Antonio Solis, un incrocio preoccupante per il futuro dell'umanità tra Biagio Antonacci e Gigi D'Alessio.

La provincia argentina della Terra del fuoco è irraggiungibile senza prima passare attraverso il Cile. Dogana, frontiera, timbri e passaporti sono concetti astratti per un viaggiatore europeo nell'Europa Unita. Il viaggio che ci porta a Ushuaia parte alle 3 di notte per arrivare alle 11 di sera. Perchè? Perchè i doganieri sono alquanto pignoli in Cile. Arriviamo alla prima frontiera e dobbiamo scendere per farci timbrare l'uscita dall'Argentina. In più, i nostri zaini devono passare attraverso il metal detector e, cosa più importante, non possiamo avere frutta con noi. FRUTTA? Non hanno fatto storie per il mio coltellino svizzero e ti trattano come un contrabbandiere per un po' di frutta?
Un'ora dopo, mentre aspettiamo non si sa cosa nell'autobus, riscendiamo per andare nella parte cilena dello stesso edificio a ottenere il timbro di entrata in Cile. Le loro richieste sono tutto sommato ragionevoli: devono soltanto far passare gli zaini attraverso il metal detector e assicurarsi che non stiamo introducendo frutta nel paese. A quel punto, la bestemmia corre sulla bocca di tutti i passeggeri, c'è anche chi tira fuori un calendario perchè ha già finito i Santi da invocare in tutta blasfemia. Finalmente siamo in terra cilena. Ora ci tocca soltanto attraversarla per giungere di nuovo in Argentina e ripetere le operazioni di cui sopra altre due volte, stavolta per uscire dal Cile e rientrare in Argentina. Scatta il piano per svaligiare un fruttivendolo ma poi ci ripensiamo.

Arrivati finalmente a Ushuaia, è già tempo di escursioni. L'Antartide è troppo lontana e costa sui 4000 euro. Capo Horn è più vicino ma i prezzi sono ancora proibitivi. Ci accontentiamo di un giro in barca a vela sul Canale di Beagle. È un'escursione intima ed esclusiva: oltre a noi quattro, ci accompagnano soltanto Miguel Angel, venezuelano, e Simone, svizzera. La barca si chiama If..., Se..., come la famosa poesia di Rudyard Kipling. Mariano, che è anche la nostra guida, ed Ezequiel sono i nostri timonieri. 

Non credevo che una terra tanto inospitale (nei miei pensieri) potesse invece rivelarsi tanto rigogliosa. Dopo una mezzoretta di vela sbarchiamo sull'isola H, chiamata così a causa del pezzo di terra che lega due isolotti, dandogli la forma dell'H. Qui madre Natura ha deciso di sbizzarrirsi: cormorani, elefanti marini in abbondanza, ma anche molte specie di fiori e piante che possono crescere solo qui. Alcuni licheni, infatti, hanno bisogno di aria purissima per potersi sviluppare. Il centro di Milano non sarebbe certo il posto più adatto. 

La navigazione prosegue tranquilla. Nonostante il cielo sia inondato dalla luce del sole, il freddo è intenso. Abbiamo addosso due paia di tutto, guanti, calzini, pantaloni, magliette, perfino due giacche. Tutti gli strati esterni sono anche antivento, ma il vento non lo sa e ci taglia comunque in due dal freddo. Quando il simpatico Mariano ci vede tremare, inizia a raccontarci la storia degli indios Yamanas, la tribù che abitava pacificamente la Terra del Fuoco fino a quattrocento anni fa, quando l'arrivo dei missionari causò l'inizio della loro scomparsa. Pare che i buoni missionari, vedendo questa gente andarsene in giro nuda (NUDA!), modello Adamo ed Eva autunno inverno, avessero deciso di educarli ai vestiti, convinti che i poveracci avessero freddo. Invece, gli Yamana ai vestiti non si abituarono mai, non tenevano al caldo come il grasso degli elefanti marini che usavano per isolare la pelle dal vento. Oltre ai vestiti, i missionari portarono anche nuove e sconosciute malattie che segnò la fine di questi simpatici indios che perfino Charles Darwin, quando navigò questi mari sul Beagle (da cui il nome dello stretto), giudicò totalmente insulsi e inutili. Viva l'evoluzione.

Alla fine dell'escursione raggiungiamo il faro alla fine del mondo, reso famoso dal romanzo di Jules Verne, "Il faro in capo al mondo". In realtà, il punto più a sud del mondo non è qui, ma, appunto, ancora più a sud, sull'isola di Navarino, dove sorge il piccolo villaggio di Puerto Williams in terra cilena. Salutiamo Mariano, la guida più preparata e simpatica che io abbia mai conosciuto e andiamo a farci tre docce calde a testa in ostello.

C'è soltanto il tempo di fare una visita al parco nazionale di Ushuaia per ottenere il timbro pìù a sud del mondo per i nostri passaporti e scappare via, verso terre cilene e, si spera, un pò più calde.



Prossima tappa: Cile, Puerto Natales e il parque nacional Torres del Paine

venerdì 5 febbraio 2010

Il mio amico Jorge

 "Me encanta que me escuches". Jorge me lo dice dopo avermi riempito la testa di parole per quarantacinque minuti.

Jorge, classe '61, ha 49 anni e una vita alle spalle che è puro materiale da romanzo. Mi vede per strada dal mobilificio in cui lavora mentre consulto la mappa di El Calafate e si offre di aiutarmi. In realtà so qual è la direzione da prendere, ma mi fermo comunque a scambiare due chiacchiere con lui. Dopo le presentazioni, Jorge diventa un fiume in piena, iniziamo a parlare di tutto. Letteratura, filosofia, religione, politica, storia, umanità... È un idealista, Jorge. Lo si vede da come gli si illuminano gli occhi quando parla di Borges come se fosse suo fratello, o quando mi spiega le idee di Ernesto Guevara detto il Che come se avesse girato il Sudamerica in moto assieme a lui, o ancora quando mi parla di come erano belle le valli  in cui è cresciuto quando aveva la mia età, nel Rio Grande.

Decide di omaggiarmi con un regalo, tirando fuori la sua chitarra. Ha una voce da cantore popolare, di quelli che vedi nelle piazze dei paesini a cantare di tempi che non esistono più. Quando gli chiedo chi ha scritto la canzone che ha intonato con tanta passione gli si apre un sorriso e mi dice, "Pero claro: yo". Mi spiega che la vita deve essere musica e poesia, non c'è l'una senza l'altra. Niente di più, niente di meno.
Mi racconta della sua vita, degli anni in cui una signora italiana si prendeva cura di lui assieme al padre, della sua passione per Adriano Celentano e Sofia Loren, del suo secondo nome, Luigi. Mi parla del periodo come soldato nella guerra delle Falkland. Lì, per fortuna, non si è mai combattuto. Jorge era semplicemente terrorizzato all'idea di dover sparare contro un altro uomo.

Nel frattempo il tempo passa, la mia escursione alla laguna in cerca di fenicotteri sta già andando a farsi benedire. Da parte sua Jorge ha fame e mi trascina a pranzo con lui e i suoi due patrones, i datori di lavoro, Mario e Jessica e le due figliolette. Perchè no? È una domenica di sole ed è tempo di barbecue, che sta all'argentino medio come la pasta all'italiano. Nel campeggio in cui andiamo a consumare chili di carne mi godo il tipico ritmo diella vita argentina. Quiete, tranquillità, relax la fanno da padrone qui.

Gli chiedo come può un idealista essere tanto felice al mondo d'oggi. "Quand'ero più giovane - mi risponde - guardavo sempre verso l'albero che avevo di fronte, ma mi dimenticavo del bosco. Un giorno ho incontrato Dio, mi ha fatto guardare intorno e ho scoperto che un albero è solo una parte del bosco. Ci sono tante opportunità là fuori." Ma so che Jorge non è un fanatico, qui la religione non c'entra nulla, quindi cerco di approfondire questa sua visione. Decide di raccontarmi il vero motivo della sua felicità perenne. "Fino a qualche mese fa - racconta - ero in mezzo a una strada a chiedere elemosina, quasi sempre ubriaco. Se non fosse stato per i miei patrones non sarei qui a parlare con te ora." 
Domani avrà un motivo in più per sorridere: i figli di 17 e 13 anni verranno a trovarli. Non li vede da 7 anni. Per questo Jorge continua a sorridere, fumando anche una sigaretta detro l'altra per "l'ansia da vigilia", davanti alle risate e gli sfottò di Mario e Jessica.

Prima di congedarci mi chiede un solo favore al mio ritorno in Italia. "Mi hanno sempre affascinato i pizzaioli... Mi manderesti il video di un pizzaiolo che fa volteggiare la pizza in aria?"

Tra le tante domande dirette con cui mi ha bombardato, una era questa: quand'è che un uomo muore veramente? Cerco di venirne fuori con qualche risposta intelligente, gliene do qualcuna, le accetta anche. Ma nessuna è della stessa semplicità della sua. "Un uomo muore quando nessuno si ricorda più di lui." 
Cercherò di farne tesoro e di non scordarmi di quest'ometto che, per un pomeriggio, mi ha fatto passare una giornata da argentino vero. "Un dia diferente hoy, eh Alejandro?"
Parole sante. Parola di Jorge.