sabato 27 marzo 2010

Las Cataratas del Iguazu

 
In epoche remote, il Rio Iguazu scorreva placido nel suo letto, senza interruzioni né cascate. Le terre che lo circondavano erano abitate dagli indios Guaranì, adoratori del dio Tupa e di suo figlio M'bol, il dio serpente che dimorava nelle acque del fiume. Le più belle vergini della tribù venivano offerte in sacrificio al dio serpente. Quando Naipi stava per essere sacrificata venne rapita da Tarobà, valoroso guerriero Guaranì, e assieme fuggirono in canoa. Ma nella fretta della fuga, Tarobà fece troppo rumore con i remi, svegliando il dio serpente. Infuriato, M'bol penetrò nelle viscere della terra, contrasse i suoi poderosi muscoli formando un immenso cratere, agitò le acque e creò le cascate. Naipi fu trasformata in roccia e condannata alla fustigazione eterna sotto le acque della Garganta del Diablo, la Gola del diavolo. Tarobà venne invece tramutato in un albero di palma e da allora non può far altro che contemplare la sua amata per l'eternità. Così narra la leggenda.

Iguazu significa, in lingua Guaranì, grandi acque. Mai nome fu più azzeccato. E proprio gli indios Guaranì e le cascate sono stati i protagonisti di un grande film degli anni '80, The Mission, con Robert De Niro e Jeremy Irons e con le spettacolari musiche di Ennio Morricone. Avrei tanto voluto avere con me il mercenario Rodrigo Mendoza, alias Robert De Niro, per dirne due alle orde fameliche di vecchi che infestano ogni luogo altamente turistico. Ne avrei per riempire un centinaio di puntate di "Non sparate sulla crocerossa", dal vecchio sprovveduto che non si era portato il costume da bagno al vecchio egoista che fa spostare gli altri turisti per avere una foto solo lui e le cascate. Credo non abbia capito la mia risposta ironica (scusi se sono venuto a visitare anche io le cascate). Ma se devo sceglierne uno per la quinta puntata, vado a occhi chiusi con il vecchio "biologo". Il parco nazionale di Iguazu è interessante anche per il complicato e ricchissimo ecosistema, con una flora e una fauna straordinarie. Quando si cammina sulle passerelle che portano alle cascate si è letteralmente avvolti da farfalle di ogni grandezza e colore, si posano sui turisti come se fossero parte integrante del loro ambiente. Ma le farfalle sembravano evitare il vecchio biologo senza motivo apparente. Il vecchio, poverino, ne risentiva e si lamentava con chiunque gli capitasse a tiro. Sono stato ad ammirare questo fenomeno per almeno una mezzora, precisamente da quando aveva iniziato a spruzzarsi addosso mezza bomboletta di repellente anti insetto. No comment.

Oltre al giro in elicottero, un po' fuori portata per il portafogli, mi sono goduto le cascate sotto ogni punto di vista possibile e immaginabile: dall'alto, dal basso, dal lato argentino e da quello brasiliano, da lontano, da vicino, in barca e in costume. Ho scattato qualche centinaio di foto (la metà, a dire il vero, da cestinare), qui sotto un piccolo assaggio delle cascate e delle Tres Fronteras, dove il Rio Iguazu si immerge nel Rio Paranà, delimitando le frontiere tra Argentina, Brasile e Paraguay.



martedì 23 marzo 2010

Ritorni e radici


Prima di partire per Buenos Aires, mi concedo un bel caffè (in realtà il caffè in Cile è quasi imbevibile) in uno dei tanti cafe con piernas sparsi per la città. La peculiarità di questo tipo di locale risiede nelle sue cameriere, vestite con mini gonne davvero mini, da qui il nome caratteristico di cafe con piernas, caffe con gambe. Poi è ovvio che importa poco se il caffè fa schifo.
Dopo che il Real Madrid è uscito dalla Champion's league, pare che la dirigenza abbia mandato i giocatori a lavorare per davvero. A Kakà è capitato un impiego in una compagnia argentina (che beffa!) di autobus. Eccolo mentre mi serve la cena sulla strada per Buenos Aires. Nella capitale mi aspetta Helda, argentina di nascita, compaesana di origine. Nei cinque giorni nella capitale, Helda mi fa da cicerone, autista, cantastorie, agente di viaggio, storica di Buenos Aires, badante. Peccato non averle chiesto anche un taglio di capelli, avrei giusto avuto bisogno di una sfoltita... Il giorno prima di ripartire, la separazione dagli altri cervelli in fuga acquista un senso con la conoscenza di Reinaldo, in cui scorre un po' del sangue che è anche nelle mie vene. Per farla breve, sua nonna era cugina emigrante della mia bisnonna. Ho praticamente trovato lo zio d'America.

Di ritorno a Buenos Aires, dunque, deciso a sfruttare questi cinque giorni per fare tutto quello che non si era potuto all'inizio del viaggio.
E adesso tango. Non potevo farmi sfuggire uno spettacolo di tango per la seconda volta. Il locale si chiama Esquina Homero Manzi, e come mi racconta Helda, il nome del posto è dedicato a un famoso scrittore di tango anche lui originario del mio paese. Proprio vero, i migliori emigrano sempre. Lo spettacolo scorre tranquillo, affascinante, i ballerini si muovono come dei felini e gli intermezzi della voce femminile ripagano subito il prezzo del biglietto. Qui si apre la solita parentesi "Non sparate sulla croce rossa", puntata numero quattro. Dico io, uno paga per andare a vedere uno spettacolo, perché dovrei alzarmi nel bel mezzo dello show per andare a fumare una sigaretta fuori? Evidentemente per quei tre vecchiacci non era poi così strano.
La domenica allo stadio. Sta diventando il viaggio del "posto giusto al momento sbagliato". La domenica si sarebbe giocato il superclasico Boca Juniors - River Plate alla Bombonera, e il giorno dopo sarebbe potuto essere la volta del concerto dei Guns'n'Roses (o di quello che ne resta). Invece mi devo accontentare di una partita del River Plate all'Estadio Monumental, non certo la Bombonera. È stata una bella partita, veloce anche se a tratti sembrava stessero giocando dei bambini, pochi falli, tanta allegria sugli spalti, bambini assieme ai genitori. La partita in sé non ha offerto niente di diverso rispetto a una qualsiasi partita vista in europa: 22 tizi che corrono dietro a un pallone, i tifosi locali a insultare i tifosi avversari, i tifosi avversari a insultare i tifosi locali, e tutti insieme appassionatamente a insultare l'arbitro. Mi sono divertito, soprattutto quando ho saputo, la settimana successiva, che Boca-River è stata rinviata per pioggia dopo dieci minuti e che al concerto dei Guns ci sono stati incidenti tra fan senza biglietto e polizia.
Uruguay. Colonia del Sacramento è un paesino uruguagio dichiarato patrimonio dall'UNESCO per il quartiere storico, preservato in maniera sorprendente fino a oggi, anche se solo in piccola parte. Da qui, nelle giornate senza nuvole, si possono vedere le luci di Buenos Aires riflettersi sul Rio de la Plata, il fiume che separa la capitale argentina da Colonia. Meritava una visita, ma molti paesini italiani antichi hanno lo stesso fascino, non sono patrimonio dell'UNESCO e non costa poi tanto andarci.
La Plata. La Plata, a un'oretta da Buenos Aires, è la capitale della provincia. La pianta della città attira fior di studiosi di architettura per le strade diagonali che dividono l'intera città, dando sempre l'aria di trovarsi in un paesino circondato dal verde e facendo dimenticare che qui gli abitanti arrivano al milione di unità. La cattedrale in stile germanico è una delle più grandi del mondo, mentre intorno un palazzo che avrei probabilmente dovuto ereditare attira la mia curiosità (cliccare sulla foto a destra per saperne di più). A La Plata esiste anche una sorta di parco giochi per bambini, la Republica de los niños, che suscitò l'ammirazione perfino di Walt Disney, durante la sua visita in Argentina. Pare che lo zio Walt si sia ispirato a questa piccola città in miniatura nella costruzione del parco di Walt Disney in California.
Domenica al mercato. La Feria de San Telmo, nell'omonimo quartiere, è ciò che più mi ha impressionato. Le strade straripavano di gente e bancarelle, altro che mercatino delle pulci. Vi si poteva trovare di tutto, dal'antiquariato agli oggetti più strani, dai poster di Maradona (Un giorno i tuoi figli ti chiederanno chi era Maradona) agli artisti di strada. Parlando di artisti di strada: un seguace di questo blog di residenza dublinese veniva continuamente spinto dagli amici a mettersi in mezzo a una strada a suonare. Forse questa foto potrebbe invogliarlo, si intitola "Non è mai troppo tardi", il sottotitolo è "Ma se ci riesce perfino lei..."

E ora un po' di foto in ordine di narrazione.