domenica 31 gennaio 2010

Un lago di cioccolata

 
San Carlos de Bariloche, 14 ore di pulman dopo. C'è di peggio, ci si abitua.
Non appena entrati in città, ci aspettiamo di vedere la mucca della milka spuntare dagli angoli delle strade. Bariloche somiglia a Saint Moritz, con tanto di cani san bernardo sfruttati per guadagnare qualche spicciolo con una foto ricordo. Sembra di essere in Svizzera ma con 35 gradi all'ombra. Le fabbriche di cioccolato sparse in giro sono rinomate in tutta la nazione. Non che tutto ciò sia necessariamente positivo. Qui la vita è addirittura più cara che a Buenos Aires. Gli edifici hanno un sapore falso, sembrano vecchissimi ma è anche probabile che siano stati costruiti l'altro ieri. Ci rifacciamo gli occhi con le meraviglie della natura di questa cittadina lacustre ai piedi delle Ande.

 
 
 
 
 
 

Infatti, abbiamo la fantastica idea di noleggiare delle biciclette per gironzolare intorno a tre dei laghi della zona: 37 chilometri tra salite, discese e strade sterrate. Quand'è stata l'ultima volta che abbiamo toccato una bici, esattamente?
L'escursione inizia con la beffa: un centinaio di metri più avanti scopriamo che c'è un altro negozio che noleggia bici a un prezzo un bel po' inferiore. Nuvola di Fantozzi dove sei?
Ci fermiamo anche in un villaggio di emigrati svizzeri, manco a farlo apposta. Sorvoliamo un ristorante che si chiama Heidi ed entriamo in una fabbrica di cioccolato a fare il pieno di zuccheri. Qui la simpatica cioccolataia ci spiega come avviene il fantastico processo della "cioccolatizzazione". Ci racconta anche la sua storia, quella (inimmaginabile direi) dei suoi avi che emigrano dall'Italia in cerca di fortuna. Sua nonna aprì uno dei primi tre negozi di cioccolato in città, dando il via alla fama di Bariloche città del cioccolato.
A metà percorso un bel bagno nel lago con le Ande innevate sullo sfondo ci ripaga dei meno 15 gradi dell'acqua in cui ci siamo tuffati.

Da Buenos Aires, non abbiamo fatto che rotolare verso sud, con qualche costante:
1. Le ore tra una città e l'altra aumentavano, in modo direttamente proporzionale alla qualità (pessima) degli autobus.
2. Le strade si restringono sempre più, fino a diventare sentieri sterrati di sabbia e pietra, che rende impossibile anche la sacrosanta siesta pomeridiana nell'autobus.
3. Finalmente un punto positivo: l'aria e l'acqua diventano sempre più pure, si può respirare a pieni polmoni senza inghiottire veleni e si può bere da qualunque ruscello incontriamo per strada.

La straordinaria pellicola di Sean Penn ha poco in comune con questa storia. Forse solo il titolo, Into the Wild, nelle terre selvagge. L'autobus che ci porterà a El Chalten, minuscolo paese nel sud della Patagonia, dovrebbe impiegarci 30 (TRENTA!) ore attraverso la famigerata Ruta 40, un suicidio turistico. Non si fa in tempo a far partire il cronometro che l'autobus si ferma dopo 100 metri per un guasto a uno pneumatico. Due ore in attesa del meccanico, che, poichè era l'ora di cena, ha pensato bene di terminare di mangiare prima di arrivare. Da lì in poi, chilometri e chilometri di steppa e deserto, e niente che l'occhio possa scorgere all'orizzonte. Nonostante ciò rischiamo anche di investire un branco di struzzi (o meglio, i loro parenti argentini) che stava attraversando la strada. È stato fantastico notare come i due autisti avessero un aspetto impeccabile all'inizio del viaggio: occhiali da sole, giacca aziendale camicia bianca cravatta rossa. All'arrivo erano sudati e in canottiera. Fantozzi dove sei?

Finalmente arriviamo a El Chalten: trenta case (prefabbricate) e un fiume. Somiglia di più a una baraccopoli, anche se dubito che i prezzi sarebbero comparabili. Tutto viene importato, dunque tutto costa caro qui. Fondato nel 1985, El Chalten è il paese argentino più giovane. Autodefinitasi Capital nacional del trekking, le sue montagne sono l'unico motivo per cui vale la pena fermarsi, buone per una sgambata per abituarsi in attesa delle cime più alte. 

Prossima tappa: El Calafate. Si entra nel vivo del Parque Nacional los Glaciares

lunedì 25 gennaio 2010

La maledizione del viaggiatore


Intendiamoci, non di vera e propria maledizione si tratta. È soltanto l'ultimo stadio di un processo che nasce come piacevole e gratificante. In un viaggio a lunga percorrenza si incontrano molte persone, si beve assieme, si chiacchiera, si ride, ci si odia e ci si trova anche antipatici a pelle. Ma una cosa è sicura: presto o tardi arriva il momento dei saluti finali.
                                             
Oggi vi racconto di Felipe e Gabriela.

Felipe viene da una città nel sud del Brasile di cui fatico a ricordare il nome, nonostante me l'abbia ripetuto ben più di una volta. I suoi bisnonni si trasferirono in Brasile dal Veneto e il suo italiano misto al portoghese non è niente male. Il sorriso a tutto denti e la faccia da bravo ragazzo gli danno un'espressione amichevole, e il fatto che riuscirebbe a parlare anche coi muri gli permette di avvicinarci per chiederci informazioni sull'autobus Mar y Valle, tratta Buenos Aires-Puerto Madryn.
Gabriela viene dalla provincia del Chaco, il nome della sua città è già tutto un programma: Resistencia. Come per Felipe, anche i suoi bisnonni si trasferirono in Argentina dall'Italia. Non parla tanto italiano, ma, quando può, infila uno stronzo qui e un eeeeh là. I suoi occhioni dolci e il fatto che Felipe riuscirebbe a parlare anche coi muri fa scoccare la scintilla tra i due, sull'autobus Mar y Valle, tratta Buenos Aires-Puerto Madryn.
Il terzo incomodo è Pablo (nome intero Pablo Diego, Vladimir Dimitri in questo blog, secondo sua stessa richiesta), il fratello di Gabriela che lavora a Puerto Madryn. Il suo italiano si limita ad alcune parolacce. Credo che dall'autobus Mar y Valle, tratta Buenos Aires-Puerto Madryn, aspettasse solo l'arrivo della sorella. Fortuna ha voluto che avessimo già pagato l'ostello, altrimenti si sarebbe ritrovato con altri cinque accampati in casa. Il fatto che sia un pazzoide e che riesca a parlare ai muri e alle pietre messi assieme lo rende subito un grande compagno di avventura.
Passiamo soltanto tre giorni assieme, ma sembrano molti di più. Effetti e controindicazioni dell'amicizia del viaggiatore.


Come nei migliori film, nel finale vengono visualizzati i sottotitoli che indicano che fine hanno fatto i protagonisti.
Bene, noi siamo saliti su un  bus che ci ha portati a ovest, a San Carlos de Bariloche, da lì faremo rotta verso sud. Pablo terminerà di lavorare tra qualche mese, prima di diventare anche lui un mochilero (alla lettera, viaggatore con lo zaino in spalla) in giro per l'Argentina; Gabriela resterà a Puerto Madryn per un po' di tempo, poi deciderà il da farsi; Felipe si è già diretto a sud, verso il mondo alla fine del mondo, forse c'e l'opportunità di rivederlo di nuovo.


L'amicizia del viaggiatore brucia in fretta, forse non si fa neanche in tempo a definirla amicizia. È una candela nel buio, un punto di riferimento, ti conforta, la segui. Ma sai già che un refolo di vento la spegnerà a una stazione degli autobus, dove andranno in onda i titoli di coda con le foto ricordo sullo sfondo. Assieme all'abbraccio di Felipe e agli occhi lucidi di Gabriela, è tutto ciò che resta.



domenica 24 gennaio 2010

Prime escursioni patagoniche




Puerto Madryn è una cittadina... brutta, ma proprio brutta. Immaginate Rimini ad agosto e moltiplicatela per cinque. Puerto Madryn è, però, il punto di partenza per le escursioni nella Penisola di Valdes, un percorso di 400 chilometri che farebbe venire le lacrime anche al più sfigato dei naturalisti. La flora qui presente è impressionante per numero e tipo di animali. Elefanti marini, leoni marini, pinguini, balene, orche e armadilli, senza contare quelle trenta quaranta specie di insetti rompi-cojones che solo qui proliferano. Purtroppo eravamo furi stagione per le balene, e le orche sono state avvistate il giorno prima e quello dopo la nostra escursione. No comment!

Dall'istmo che collega Puerto Madryn alla penisola si può vedere un isolotto di una strana forma. Si dice che Antoine Saint Exupery si sia ispirato a quest'isolotto per uno dei disegni che appaiono nel suo Piccolo principe, il serpente che mangia l'elefante.






Lascio spazio a un po' di foto, visto che dovrei avere una connessione migliore per caricarle.











Alla fine dell'escursione, la nostra guida, Hugo, ci invita a sorseggiare un pò di yerba mate, la bevanda che sta ai sudamericani come i cestini da pic-nic all'orso Yogi.


In Argentina si prepara così: si riempe di yerba (pronuncia scerba, o cerba, a seconda dell'accento) mate la tipica coppa per tre quarti, si agita il tutto cercando di lasciare l'erba da una parte e un buco dall'altra. Inserire la bombilla (pronuncia bombiscia), cioè la cannuccia, nel buco e versare dapprima acqua tiepida, poi acqua bollente a 85 gradi. Il vostro mate è pronto, ma attenzione alle superstizioni. Ce ne sono a migliaia, tutte diverse per regione, ma alcune sono, per così dire, universali. Mai spostare la cannuccia dopo averla inserita nella coppa; il primo a bere è sempre il sebador, cioè chi prepara il mate, dopodichè la coppa gira in senso antiorario; quando si passa la coppa al proprio vicino, la cannuccia deve essere rivolta verso la persona che riceverà il mate; si ringrazia solo quando non si vuole più bere, mai prima. Provate a dire gracias mentre vi stanno passando la coppa e vi ritroverete con aria fritta tra le mani.

Prossima tappa: San Carlos de Bariloche, ai piedi della cordigliera delle Ande, famosa per i percorsi naturalistici, i laghi e... il cioccolato.

giovedì 21 gennaio 2010

La mano de Dios, Evita e tutto il resto...



Prima giornata a Buenos Aires e decidiamo di toglierci subito il dente: gita nel quartiere meno sicuro della città, La Boca, per testare le nostre facce da turista. Per un attimo penso che la gente del quartiere avrebbe tutto il diritto di lasciarci in mutande. Ma La Boca è il quartiere della povertà e dell'allegria. Il colore con cui sono dipinti i muri delle case sembrano far dimenticare per un attimo ai suoi abitanti le condizioni in cui vivono (che non sono comunque le peggiori di Buenos Aires). Tutto ha origine negli anni '50, quando un giovane pittore, Benito Quinquela Martìn, spinse gli abitanti del quartiere a portare  tutti i baratoli di vernice di cui erano in possesso per dare vivacità alle case. Il fatto che non si trovassero due persone con lo stesso colore non sembrò essere d'impedimento. E fu così che nacque "El Caminito", la via con le case multicolore. A onor del vero, il quartiere è diventato una trappola per turisti, resta pericoloso più che altro di sera, ma in fin dei conti merita sempre una visita.
La Boca è anche il quartiere che ospita il celebre Boca Juniors, squadra di calcio fondata più di cent'anni fa da immigrati genovesi. La Bombonera, il suo stadio, è la nostra prima visita. Ed è qui che avviene la prima grande sorpresa, che da sola vale l'intero prezzo del biglietto aereo. Lascio spazio alla foto che nessuna parola potrebbe descrivere:





Dopo il dio per i muchachos del pallone, è l'ora di pagare visita al mito delle donne (e non solo) argentine, la presidentessa più amata della storia, Eva Duarte de Peron, Evita per l'amato popolo argentino. La sua tomba si trova nel cimitero di La Recoleta, in una giungla di mausolei e sculture maestose dove sono seppelliti i  personaggi che danno il nome alle vie di mezza Buenos Aires. Eppure, solo Evita continua ad avere fiori freschi ai suoi piedi. Altre tombe sono invase dalle ragnatele, altre ancora sembrano esser state scassinate, alcune hanno un lucchetto arrugginito a custodirle. È alla vista di questi lucchetti che mi lascio scappare una, leggermente blasfema, battuta: "Forse sono chiusi per lutto!"


Tra le viuzze di San Telmo, in un posticino rustico di nome Desnivel, decidiamo di svezzare i nostri stomaci con la famosa e tanto decantata carne argentina. Le bistecche alte due dite ricoperte da una montagna di patatine che Tex Willer divorava in ogni sua avventura sembrano degli hamburger di McDonald cucinati male a confronto. Senza esagerare più di tanto, abbiamo mangiato un chilo a testa di carne per un paio d'euro. Da qui entriamo in un locale a prima vista carino, attirati da due ballerini di tango che si apprestano allo spettacolo. Bravi, per carità, ma se oltre a noi c'era un solo altro tavolo occupato qualcosa avrà pur voluto dire. Peccato non essere andati a un vero spettacolo di tango.

Resta ancora una giornata per un'escursione fluviale nell'estuario di Tigre, cittadina a nord-ovest di Buenos Aires, a cui si arriva prendendo il treno più rumoroso che storia ricordi. È qui che aggiorniamo il bilancio degli italiani incontrati per strada: una simpatica ragazzotta piemontese di 75 anni, in Argentina da quando aveva 4 mesi... forse non fa neanche testo.


C'è giusto il tempo per poter dire "io c'ero" alla tappa finale di una competizione che, fino a qualche anno fa, si chiamava Parigi-Dakar, prima di rimetterci di nuovo in cammino.

Prossima tappa Puerto Madryn. Ci aspettano 18 ore di autobus. Iniziamo  solo ora a renderci davvero conto della immensità di un continente che sulle cartine geografiche appare sempre a misura d'uomo. (In realtà sto scrivendo già da Puerto Madryn, le 18 ore si sono poi dimostrate essere solo 15 e sono scivolate via tra un libro e una dormita.)

Si aprono i cancelli della Patagonia.

(Questa è la mappa-itinerario che indica il percorso seguito finora, cercherò di aggiornarla dopo ogni post.)


Ver Sudamerica per caso en un mapa más grande

martedì 19 gennaio 2010

Finalmente Buenos Aires!



Se un'ora contiene 60 minuti, e un minuto 60 secondi, quanti secondi ci sono in 13 ore? Più che dall'eccitazione o dalla voglia di mettere piede nella capitale argentina, il titolo di questo post ci è uscito di bocca dopo 13 (tredici) interminabili noiosissime ore di volo. Eravamo talmente cotti che davvero per un momento abbiamo pensato di scendere dall'aereo a testa in giù, normale reazione al passaggio dall'emisfero  boreale a quello australe.
Quello che segue è un resoconto di cinque giorni spesi a camminare su e giù per le calles della città. Sarà per forza di cose un resoconto spezzettato, non so cosa sia un ordine cronologico, ho già perso la cognizione del tempo, non ho nemmeno un orologio con me...

Partiamo dalle sensazioni iniziali e iniziamo sfatando alcuni tabù: Buenos Aires è una città sicura, si incontrano pochi turisti italiani e a volte piove anche. Detto questo, non avventuratevi nelle stradine buie, non fatevi attirare nelle trappole per turisti e ricordatevi del perchè avete comprato una giacca antipioggia, foss'anche solo per dieci minuti.

Buenos Aires è una città sorprendente e scontata allo stesso tempo. Comprendere appieno le dinamiche di una città tanto grande e in soli cinque giorni è un'impresa da non tentare nemmeno. La maggior parte delle guide turistiche ve la descriveranno come un costume di arlecchino, tanti pezzettini di stoffa diversi l'uno dall'altro che riescono a coesistere quasi in armonia. Passeggiate nei quartieri agiati di Palermo o La Recoleta e vi sembrerà di respirare l'aria (e l'inquinamento, tanto inquinamento) di Roma, Parigi o Londra. Spostatevi un po' più in giù, verso i barrios di San Telmo e La Boca, e inizierete a entrare nello spirito che anima i porteños, come viene chiamata la gente di Buenos Aires. È proprio la gente, o meglio i giovani, che più colpiscono il turista. Il giovane argentino medio ha una faccia pulita allegra divertente bella interessante, quanto di più lontano dal giovane italiano medio, tirato a lucido in attesa di una chiamata da maria de filippi (il minuscolo non è un errore)... ma tant'è, ognuno si becca la società che si merita.

I prezzi sono veramente bassi per alcune cose, ma in un modo o nell'altro siamo già riusciti a spendere un bel po' di pesos. E allora, cerchiamo di suscitare un po' di invidia nei giovinastri che stanno leggendo: la birra argentina per eccellenza, la Quilmes, costa 3-4 pesos al litro nei supermercati. Sappiate che un euro vale 5.4 pesos, rispolverate un po' delle vecchie nozioni matematiche e traete i vostri risultati.
Altro di cui essere invidiosi? Alcuni ostelli avevano ancora un alberello di natale in salotto, eppure siamo già a gennaio e la temperatura arriva anche a 38 gradi. Vediamo un po'... per muoversi in città basta prendere la metropolitana, che qui chiamano Subte, o l'autobus e spendere un mare di soldi per il biglietto: 1,20 pesos. Rispolverate di nuovo le vostre nozioni matematiche e aprite un fondo pensionistico: ora sapete dove far trascorrere la vecchiaia alle vostre malandate ossa!

L'ultima faccia

Questa è la descrizione del sottoscritto. In quanto dittatore del blog avrei potuto esercitare il mio onestissimo diritto alla censura, ma nnnnoooooo, non lo farò. Ecco come mi vedono i miei compagni di viaggio.



Nome: Alessandro D
Età: se li porta male
Razza: terùn (ahh, ma allora i sospetti erano fondati! Terrone maledetto, chi chezz lo conosce??? - cit.)
Descrizione: nato a Polla nei tamarri anni `80 da un incrocio tra MacGyver e una giovane marmotta, coltivò sin da piccolo la passione per gli accessori inutili, cominciando a collezionare i Topogadgets, finendo poi a molestare venditori coreani su ebay. Il top della sua collezione? L’utilissimo cappellino porta carta igienica, ovviamente. Soggetto estremamente permaloso, costringe i compagni di viaggio all’autocensura, per evitare battute che ne compromettano l’umore. Probabilmente quello che state leggendo è stato ampiamente riveduto e corretto dal fascistissimo blogger!
Note particolari: camminata con passo interno (alla Kevin Spacey in “I soliti sospetti”), per non parlare del morbo del raddoppio e dell’accentuazione delle vocali nella pronuncia (uuuomo)
Nome in codice: Paperino

giovedì 14 gennaio 2010

Con queste facce qui...

Sottotitolo: ma dddico io, ma cccome si fa ad andare in giro con certa gente?

Eccoci qua con la presentazione di questi novelli Indiana Jones... Per obiettività non includerò la mia, aspettando che la scriva uno dei tre individui di cui (s)parlerò qui di seguito.

Accompagnatore numero uno (in ordine alfabetico, non di intelligenza, s'intende):


Nome: Alessandro C.
Età: per intelligenza, sempre meno di quanti ne dimostra, basta osservarlo con attenzione del resto.
Razza: tuttora sconosciuta.
Descrizione: anello mancante nella scala evolutiva tra l'uomo di Neanderthal e l'uomo di Cro-Magnon, questo tardo (in tutti i sensi) discendente del Big Foot dal pelo fulvo riesce a mimetizzarsi ovunque dimostrando un'apparente inutilità. Si mimetizza talmente bene che anche i compagni di viaggio a volte si domandano a cosa possa servire.
Note particolari: si sospetta abbia una tessera del partito leghista nel portafogli, ma rifiuta di aprirlo davanti a occhi estranei.
Nome in codice: Miciotto (e, che ci crediate o no, non l'abbiamo scelto noi... esisteva già)

Accompagnatore numero due:


Nome: Giada
Età: non si svela l'età di una signora
Razza: elfo nano (ma sull'elfo ho ancora qualche dubbio)
Descrizione: la risposta italiana ad Arnold, si presenta spesso in abbigliamento simil-comunistoide, alternativo, radical chic... Ma il suo mito è in realta un noto imprenditore milanese con cui condivide un'accentuata tendenza alla gaffe. Storiche le involontarie insinuazioni offensive nei confronti del padre di Miciotto ("Ma lei è tirchio come suo figlio?").
Note particolari: dotata di una voce degna di menzione: a tuttoggi, solo i delfini riescono a percepire e decifrare appieno i suoi ultrasuoni.
Nome in codice: l'urlo


Accompagnatore numero tre:

Nome: Mattia
Età: vecchio, poco ma sicuro
Razza: umanoide

Descrizione: inopportuno, sempre e comunque. Le sue risatine idiote quanto inutili sono motivo di adorazione da parte di migliaia di fan (almeno questo è quello che tutti gli facciamo credere per non offendere la sua sensibilità). Scolpito nella memoria dei colleghi di lavoro il momento del suo addio (riportiamo qui di seguito il dialogo avvenuto tra il suddetto Mattia e il suo capo, Sara)
Sara: E così hai deciso di andartene... Come mai? Hai trovato un altro lavoro?
Mattia: Eh sì (in questo istante avviene la preparazione della risata idiota quanto inutile). ho trovato in un'agenzia turistica.
Sara: Ahhh, ma che bello, complimenti
Mattia: Eheheheheh, sì... ahahahah, hihihihihi... ehehehehehe (sguardo di comprensione di tutti i presenti per la povera Sara
Note particolari: pensa davvero di essere un essere superiore
Nome in codice: HHHAAAAAA

sabato 9 gennaio 2010

Sul sentiero degli Incauti

Inizia sempre così, con un treno preso di corsa e una signora che ti manda cordialmente a fare in *beeeep* non appena le chiedi se può togliere la borsa dal sedile per poterti sedere. Almeno il treno lo abbiamo preso, finalmente. E ho finalmente deciso di aprire un blog, il billionesimo della rete. Come si può leggere nel sottotitolo, ci sono di mezzo un viaggio (in Sudamerica), una decisione da svitati (secondo le opinioni raccolte) e tante (future) disavventure, con quattro tre cervelli e mezzo in fuga come protagonisti.

Si parte allora, rotta sud-sud-ovest, prima tappa Buenos Aires, proseguendo lungo il sentiero degli Inca, quello vero, il Qhapaq Ñan, prova tangibile del potere di un impero perduto (ma tanto lo avrete studiato a scuola anche voi, no?).
Se vi state chiedendo il perché di quell'Inca(uti)... beh, come definireste voi un viaggio con accompagnatori con tali facce? (Seguirà post introduttivo degli accompagnatori con relative facce.)
E se avete già un'idea su chi sia il mezzo cervello del gruppo... iniziate pure a puntare le vostre fiches, poi si vedrà.

Benvenuti sul sentiero degli Inca(uti).