lunedì 8 marzo 2010

L'ombelico del mondo


È qui che si incontrano facce strane di una bellezza un po' disarmante
pelle di ebano di un padre indigeno e occhi smeraldo come il diamante
facce meticce di razze nuove come il millennio che sta iniziando
questo è l'ombelico del mondo e noi stiamo già ballando
- L'ombelico del mondo, Jovanotti

Sette esploratori partirono dalla Polinesia alla ricerca di una nuova terra su cui vivere per conto del loro re, Hotu Matu'a. Giunsero su quella che oggi conosciamo come Isola di Pasqua, nome che deriva dal giorno in cui fu scoperta dagli europei, Pasqua del 1722. La storia dell'isola è sempre stata travagliata. Le lotte tra clan portarono alla quasi distruzione degli isolani. L'arrivo degli europei portò nuove malattie sconosciute in questo pezzo di mondo, la lebbra è stata debellata solo nel secolo appena concluso.
Ma, ed è inutile girarci intorno, la fama dell'Isola di Pasqua è dovuta alle 887 statue di pietra che tanto fanno impazzire studiosi e archeologi di tutto il mondo, i Moai (meno di un terzo dei quali raggiunsero i rispettivi ahu, le piattaforme su cui venivano eretti). Le teorie più accettate pongono i Moai al centro di un culto ancestrale: le statue servivano per omaggiare i capi Rapa Nui, l'etnia dell'isola, un po' come i faraoni egizi costruivano sfingi e tombe per scolpire il proprio nome nella storia. Più o meno. Leggenda vuole che i Moai  camminassero letteralmente dai costoni del vulcano Rano Raraku, dove venivano scolpiti, fino agli ahu di destinazione. Più probabile che venissero fatti scivolare grazie all'uso di tronchi, che portò alla deforestazione dell'isola e alle guerre tra clan: senza più alberi, infatti, veniva a mancare la materia prima per la costruzione delle canoe, vitali per la pesca e il sostentamento degli isolani. Ancora oggi, alcune aree hanno un aspetto sinistro per la mancanza di vegetazione e camminare nelle zone più isolate e meno turistiche potrebbe indurvi a credere di essere osservati a ogni passo che fate, soprattutto se ve ne andate in giro di notte, da soli, per strade secondarie senza illuminazione e con le silouette dei Moai a pochi passi.
L'Isola di Pasqua sembra la riproduzione in miniatura del nostro mondo: un popolo che giunge sull'isola, prospera, inizia a sfruttare la natura per i propri fini, distrugge l'ecosistema e che si fa imbrigliare nei sentimenti più bassi dell'uomo, invidia e corruzione, per scatenare lotte e guerre tra clan. Tutto in meno di 200 km quadrati. L'abbandono della costruzione dei Moai coincide con la nascita di un nuovo culto, il culto del dio Make Make e del tangata-manu, l'uomo uccello. Il villaggio cerimoniale di Orongo divenne il punto focale di questa  nuova fase dell'isola. La cerimonia annuale prevedeva una gara tra gli hopu, i rappresentanti dei capi di ogni tribù, per ottenere il primo uovo di manutara, un uccello tipico della fauna dell'isola che nidificava sull'isolotto di Motu Nui. Il vincitore diventava il nuovo tangata-matu, o uomo-uccello, e la sua persona veniva avvolta da un velo di sacralità che dava al suo clan grande potere, suscitando l'invidia e il malcontento degli avversari.
Ancora oggi si può raggiungere il villaggio di Orongo percorrendo lo stesso sentiero montuoso degli hopu, costeggiando il cratere del vulcano Rano Kau, uno dei punti più spettrali dell'isola con la sua laguna interna. Occhio a indossare un bel paio di scarponi, o i vostri piedi malediranno tutta la sabbia che saranno costretti a mangiare. L'isola negli anni 2000 sta cercando di recuperare e mantenere la propria unica identità culturale, con alti e bassi. Le manifestazioni degli anziani che protestano contro la richiesta di esporre uno dei Moai in Francia urta contro il menefreghismo di parte della gioventù, che passa tutto il giorno su una tavola da surf o in sella a un motocross. La messa celebrata con canti in Rapa Nui, la lingua locale, e i tradizionali balli tribali cercano di costruire una via tra il turismo e il mantenimento della propria cultura. Mi aspettavo una messa in stile James Brown in Blues Brothers, ma forse esageravo con le aspettative.


Questo era il resoconto, diciamo così, culturale. Per tutti gli strani episodi accaduti in questa pazza pazza settimana c'è da attendere ancora qualche giorno. Nel frattempo godetevi le foto.
Dopo il terremoto, Giada Mattia e Alessandro sono rientrati in Argentina, percorrendo le terre nord occidentali nelle regioni di Mendoza e Cordoba, mentre io sto trascorrendo gli ultimi giorni a Santiago del Cile prima di ritornare a Buenos Aires.





7 commenti:

  1. Bello il post. ancor piu' belle le foto.
    peccato veramente non vivermi a pieno quest'esperienza con gli altri 4 sensi!

    ma ti sei preso il tuo piccolo Testone da mettere in casa? per iniziare la tua nuova religione ti serve almeno un simulacro!
    ;)

    RispondiElimina
  2. compare,
    foto molto belle..ma quella in cui sei in riga con le statute è da buffone!!!:) ahahhahaha....che si dice? guarda che io le promesse le mantengo...solo che avevo posto dellle condizioni che nn si sono realizzate!!!:) e cmq vedi che coinvolgo altra gente? dovrei avere una percentuale sui tuoi guadagni mio caro GIORNALISTA..)))))))))))))))))))))))))cia
    massi

    RispondiElimina
  3. più che da buffone direi da BULLO!!! o no, ale???

    RispondiElimina
  4. Bellissime foto, supra tutto quelle dove c'è uno con la faccia di pietra con dei pantaloncini rossi ;)

    Pablo

    RispondiElimina
  5. hihihihihi ma un Moai con la tua faccia te lo sei fatto fare, o pensi solo a danzare con le ragazze del posto, attento ho notato che i capelloni hanno una grande massa muscolare,xD


    Basilio.
    (P.S. adesso mi registro ciao cugìììììììììììììì

    RispondiElimina
  6. )
    scusa cugì avevo dimenticato di chiudere le parentesi xD

    RispondiElimina
  7. @ Paolo, il testone ormai ce l'ho tatuato inside, la religione la inizio appeno raccolgo un po' di adepti ;)

    @ Caro amico Massi, smettila di far parlare la voce dell'invidia. Vedo che il messaggio è arrivato a destinazione, ahahah. A questo punto, cerca di non far realizzare queste condizioni e aspettami al ritorno che ci pigliamo na casa assieme :)

    @ Cara amica Rosaria, smettila di far parlare la voce dell'invidia. Sei fortunata che non sono più sull'isola, sennò tornavo alle poste a riprendermi la cartolina che t'ho mandato :)

    @ Caro amico Pablo, anche tu sei fortunato, perché non mi trovo con gli altri a cena dai tuoi a Cordoba. Avevo un bel po' di storielle su come passi la vita notturna nei pub irlandesi da raccontare alla famiglia :)

    @ Cuggì, in realtà mi hanno pure chiamato a ballare sul palco... ovviamente quelle foto non le vedrete mai, sembravo un perfetto imbecille.

    RispondiElimina

Ci muoviamo a scrivere questo commento? Non è che posso aspettare tutto il giorno... e firmati, CRIBBIO!