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venerdì 19 marzo 2010

A volte ritornano



Tempo fa qualcuno mi aveva scritto che "conoscere persone è una delle cose più belle del viaggio, e anche avere il tempo da dedicargli" (ciao Teresa). Qui a Santiago del Cile non sembrerebbe esserci molto da fare, di solito non ci si ferma più di un paio di giorni. Ma a Santiago ho l'opportunità di rivedere qualche vecchia faccia e, appunto, dedicarle un po' di tempo. Rivedo Wes e Nora, che avevo conosciuto a sud, a Valdivia. Non erano abituati ai terremoti, per questo siamo andati subito a esorcizzare la paura alla Piojera, letteralmente la pidocchiera, un locale tipicamente cileno, con grida e balli sui tavoli, dove noi eravamo gli unici stranieri. È risaputo che il Cile è terra sismica per eccellenza, per questo la gente del posto si è inventata una bevanda chiamata Terremoto. Il perché del nome è facile da intuire, serve a darti la scossa, e se il primo bicchiere non basta, la replica (con cui si indicano le scosse di assestamento in spagnolo) ti stende. Viene preparato in questo modo: si mette un bel pezzo di gelato all'ananas in un bicchiere da birra, per tre quarti si riempe il bicchiere di vino bianco per poi completare il mix con un liquore a scelta, di solito cognac, fernet o più probabilmente pisco (altra bevanda tipicamente cilena). La scossa non solo è puntuale, ma è anche prolungata: infatti il gelato si scioglie pian piano, dando quella strana sensazione per cui più si beve più il bicchiere è pieno.
A causa del terremoto il volo dall'Isola di Pasqua era atterrato alle 10 di sera a Santiago. Il fatto che ci fanno trovare le valigie fuori dalla pista d'atterraggio mi fa capire che esistono ancora problemi logistici post-terremoto e, soprattutto, mi fa cambiare idea sul piano originario di dormire in aeroporto. Tra un'informazione e l'altra, un tassista si offre di prenotarmi un ostello in cui lavora un suo amico. Appena arrivo all'ostello mi ritrovo subito un'altra vecchia conoscenza in camera, Sergio, uno degli italiani conosciuti sulla nave della morte in Cile. Passiamo il fine settimana a casa della famiglia Santana, Josè e Yennifer, e ad assaggiare l'ennesima bevanda tipica cilena: un melone totalmente ripulito del suo interno in cui si versa vino bianco, zucchero e di nuovo la polpa del melone. Josè rimarrà famoso come colui che, sull'isola di Chiloè, dove ci eravamo conosciuti,  mi disse "qui in Cile puoi mangiare di tutto che non ti succederà mai niente". Le ultime parole famose: quella notte rimarrà nella mia memoria per il record di cinque vomitate in meno di quattro ore a causa delle maledette cozze cilene. Ospiti squisiti, ci tratteniamo da Josè e Yennifer (assieme anche a Javier e Francisco) fino alle quattro del mattino a bere vino, a chiacchierare sul Cile, sulla morte e sull'oltrevita, su Neruda e gli altri poeti cileni meno conosciuti, a bere vino, a chiacchierare sul golpe del '73, sui sogni e sul significato dei sogni, sugli Inti Illimani, sui Quilapayun e sulla musica cilena in generale, a bere vino, a chiacchierare sull'Europa, sul lavoro in Cile, sui viaggi in Jamaica, sull'invito al loro matrimonio tra tre anni, a bere vino e a imparare detti tipicamente cileni sul vino: si vino al mundo y no toma vino a que [censura] vino? Il gioco di parole si basa sulla parola vino, intesa sia dal punto di vista alcoolico che grammaticale, essendo anche terza persona del passato remoto di venire. A voi la traduzione.
Il mese speso in Cile si è anche rivelata un'occasione per "intervistare" diversi cileni sulla storia del loro paese. È stato incredibile constatare come il colpo di stato di Pinochet sia ancora avvolto nel mistero. Ne avrò parlato con almeno sette, otto persone e ognuna mi ha dato un'opinione diversa da quella degli altri. Per alcuni è stato un evento terribile, per altri si è rivelato vincente per l'economia cilena odierna, per altri ancora è stato positivo per il futuro del Cile ma a un prezzo sociale troppo elevato. Si discute anche sul numero dei morti, chi dice siano meno, chi più. I nomi affissi sul memoriale al cimitero, in ogni caso, sono un bel po'. Tutti erano d'accordo nell'affermare che non si saprà cosa veramente sia successo prima di un altro paio di generazioni, quando forse, aggiungo io, a nessuno interesserà più. Una visita al Cementerio General, dove sono sepolti i personaggi storici cileni, chiude la cinque giorni di Santiago. L'ultima tomba visitata è quella di Victor Jara. Davanti alla sua lapide incontro Miguel, venuto a portare fiori freschi a sua nonna, che mi racconta la storia di Victor. Nonostante la conoscessi già, la riascolto volentieri anche dalle sue parole. Cantautore e artista teatrale, noto per il suo attivismo tra operai e lavoratori, Jara diventa un volto importante del partito comunista in tempi turbolenti. Incarcerato l'11 settembre, il giorno stesso del golpe, viene detenuto assieme a centinaia di altri prigionieri nell'Estadio Nacional. I militari lo torturano, ma Victor continua a scrivere. I suoi ultimi versi su un pezzettino di carta corrono di mano in mano, fino a che il foglietto viene scoperto da un militare nel calzino di un altro prigioniero. I soldati  spezzano le dita e le mani di Jara, per poi sparargli. Ma i versi sul foglietto vengono ricostruiti dalla memoria di chi li aveva letti e in qualche modo riescono ad uscire dai confini dello stadio.
La targa esplicativa di fronte alla sua tomba è imbrattata di messaggi a sfondo politico, non poteva essere altrimenti. Personalmente non ho colori politici, mi interessano soprattutto le storie degli uomini. E quella di Victor Jara è un pugno allo stomaco. Oggi l'Estadio Nacional si chiama Estadio Victor Jara, e lì è affissa una targa con i suoi ultimi versi:

Canto, come mi vieni male
quando devo cantare la paura!
Paura come quella che vivo,
come quella che muoio, paura
di vedermi fra tanti, tanti
momenti dell'infinito
in cui il silenzio e il grido
sono le mete di questo canto.
Quello che non vedo non l'ho mai visto.
Ciò che ho sentito e che sento
farà sbocciare il momento...

La traduzione è presa da wikipedia, ma la versione completa in spagnolo si può trovare qui: Ultimo poema


lunedì 15 marzo 2010

Il mondo visto da un divano

Non prenderò una lira, ma vorrei fare un po’ di pubblicità a un sito che reputo molto interessante: http://www.couchsurfing.com/, letteralmente, navigare sui divani di tutto il mondo e conoscere culture diverse dal “dietro le quinte”. Funziona così: al sito sono iscritte persone dai quattro angoli del globo, si cercano i membri della città in cui si andrà e si chiede ospitalità per qualche giorno. La mia prima esperienza si chiama Alejandro. Casa sua sembra un ostello. Infatti Gulcan, una ragazza turca, sta ricevendo la stessa ospitalità e nel pomeriggio sarà la volta di JéBé (JB o Jean Baptiste) ed Emilie a entrare in casa. Alejandro e sua moglie Julia ci accolgono col sorriso smaliziato di chi ha già ospitato altri navigatori, mentre io e Gulcan siamo alla prima esperienza e JéBé ed Emilie alla seconda. 
Alejandro è il perfetto cicerone, ci accompagna nelle strade di Valparaiso come se fossero i corridoi di casa sua. Il fatto che all'università abbia dato un esame sulla propria città (?) gli rende facile riempirci la testa con abbondanti aneddoti.
Valparaiso è una città atipica, a quanto pare non molto amata dal resto dei cileni. È una città bohemienne, con le sue università e le sue idee giovani, le case colorate, i murales e gli ascensores che collegano il centro con le colline periferiche. Non è mai stata ufficialmente fondata. Era popolata, infatti, dalle varie comunità che vennero qui a stabilirsi, tedesca, inglese, italiana. L'amalgama tra queste fu così perfetto che la città eresse una peculiare statua della giustizia davanti al tribunale. La dea non è bendata e non brandisce in avanti la bilancia, a confermare che la parola tra gli uomini bastava a evitare problemi.
Ho trascorso tre giorni di relax turistico totale a Valparaiso. Quando il terremoto si è affacciato da queste parti ero già sull'Isola di Pasqua, ma ho dovuto aspettare un paio di giorni prima di ricevere un'email da Alejandro e Julia. Sono ritornato a Valparaiso per un saluto veloce. A volte l'istinto è più forte della ragione. Alejandro e Julia si sono ritrovati, loro malgrado, a vivere una "piccola odissea", come titolava anche il giornale di Valparaiso, alla ricerca di Danielito, il figlio undicenne dei due. Scrivo qui sotto alcuni pezzi tradotti dall'email che Alejandro mi ha inviato qualche giorno fa.

Il terremoto ci ha colti nel sonno. Era davvero forte, la casa si muoveva tutta. Pensai che sarebbe crollata. Siamo scesi in cucina, mentre i vetri delle finestre si rompevano. Al termine della scossa non c'era né acqua né elettricità, e nemmeno conoscevo lo stato strutturale della casa. Eravamo convinti che fosse un bene che Daniel non si trovasse in casa con noi, pensando che l'epicentro fosse a Valparaiso. Verso le 4,30 di mattina qualcuno portò una radio che ci informò che l'epicentro era a Concepcion (650 chilometri a sud), la città in cui nostro figlio stava passando le vacanze con mia madre. Julia iniziò a disperarsi. 
Tornammo a casa, prendemmo uno zaino, un po' di soldi e uscimmo per andare a casa di mia madre a prendere l'auto. Ci siamo subito diretti verso sud, passando a fare benzina. Non c'erano stazioni aperte in città, a causa del corto circuito elettrico. Trovammo una pompa di benzina per strada e ci fermammo a fare rifornimento. Arrivati a Santiago, ascoltammo una radio che trasmetteva notizie sul terremoto, ma ancora non si sapeva nulla di Concepcion, né di Talcahuano (città dove si trovava Daniel, a 10 chilometri a sud di Concepcion), ma si sapeva che uno tsunami aveva colpito la città e che i morti potevano arrivare (in quel momento) fino a 50. Man mano che avanzavamo si vedevano case al suolo, morti per le strade, desolazione da tutte le parti. A Parrall (450 chilometri a sud di Valparaiso) abbiamo visto le cose peggiori del viaggio: tutta la città era caduta e i morti si contavano a decine. Gli aiuti ancora dovevano arrivare, siamo stati tra i primi ad andare verso sud, per questo si vedeva di tutto. Gente che sanguinava, bambini seduti di fronte alle case cadute. Abbiamo dovuto attraversare pietre, case, animali morti, cercando di andare a sud. Il nostro cuore era a pezzi, non avevamo ancora notizie di Talcahuano e si pensava che l'epicentro fosse molto vicino alla città. Sapevo dentro di me che Daniel era vivo, ma non sapevo in che condizioni si trovava. A volte me lo immaginavo che giocava tra le macerie, altre volte intrappolato sotto le pietre... terribile.
Finalmente giungemmo a Concepcion verso le 6 del pomeriggio, 12 ore dopo il terremoto. La città era un caos, incendi, edifici collassati, gente che rubava. Ma dovevamo attraversarla per arrivare a Talcahuano. A Concepcion, una radio diceva che Talcahuano era sotto 2 metri di acqua e che era impossibile arrivarci, né erano possibili le comunicazioni. Avevamo pensato di nuotare fino alla città dove si trovava nostro figlio ma non ce ne fu bisogno, il mare si era già ritirato. La prima immagine del centro di Talcahuano cercherò di dimenticarla, c'erano alcune barche per le strade (a un chilometro dalla costa), auto sui tetti delle case, petrolio che bruciava... una scena da film apocalittico. 
Finalmente arriviamo sulle colline della città, dove si trovava Daniel. C'era tanta distruzione, gente armata per difendersi dagli sciacalli. Raggiungemmo la casa, finalmente avremmo saputo come stava Danielito, ma il quartiere era tutto raso al suolo. I timori crescevano, starà bene? sarà spaventato? si troverà sotto una di queste case? Ma subito dopo, alla fine della strada, vidi una testolina che mi sembrava familiare. Vidi Danielito in mezzo a un gruppo di persone. Stava bene!!! La casa dove alloggiava era di legno ed era l'unica che si manteneva in piedi. Io non credo in Dio, però ora sto avendo dei dubbi. È stato un vero miracolo. Daniel, nonostante si trovasse nell'epicentro di un terremoto di 8.8 gradi, di un maremoto che aveva investito la città, degli sciacalli, della gente armata, della mancanza di acqua ed elettricità, nonostante tutto stava bene. Mia madre ci venne incontro, la famiglia dove alloggiavano stava bene e ci diede ospitalità per la notte. La solidarietà cilena funzionava ancora. Quella notte dormii come non lo facevo da tempo, abbracciati Julia, Danielito e io. Non sentii scosse di assestamento, tremori, grida, né niente... dormii con un sorriso incredibile. Ero veramente tranquillo. Il viaggio di ritorno è durato 18 ore, ma questo te lo racconto un altro giorno. Per riassumere, stiamo bene. Mia madre a casa sua, noi aggiustando la nostra e Danielito è felice con i suoi genitori. Le cose materiali sono un dettaglio, sono sicuro che il paese saprà andare avanti. Non è la prima volta né sarà l'ultima che il Cile cade, ma sappiamo ricostruirlo. E noi come famiglia andremo avanti. Non esiste niente di così grave in grado di toglierci l'allegria. Puoi vederlo nelle foto, nel mezzo del disastro a 15 ore dal terremoto. Stiamo e staremo bene. 
Saluti da Valparaiso, Cile.
Alejandro

PS: sei il benvenuto, anche se la casa è un po' in disordine.


Sono ritornato a Valparaiso e tutti e tre sono come li avevo lasciati, col sorriso sulle labbra. Le scosse di assestamento continuano, stranamente soprattutto qui al nord, lontano dall'epicentro. Controlliamo su internet le scosse del giorno, dal mio arrivo ci sono state almeno otto scosse, la più alta di 6.1 gradi, quasi un terremoto in sé.
Abbiamo parlato del terremoto, alla fine i morti sono stati meno di quelli che sembravano all'inizio. Alejandro mi dice che a Talcahuano, con la città quasi rasa al suolo, i morti sono stati solo 8. La maggior parte dei danni li ha fatti il maremoto. La cosa più triste e inaspettata sono stati gli atti di sciacallaggio. L'occasione fa l'uomo ladro, si dice, ma una cosa è quando lo si diventa per necessità, un'altra quando si sventrano le saracinesche dei negozi per rubare casse di vino, materiale elettronico, persino una lavatrice e un tavolo da cucina. Ma, come diceva Alejandro, la solidarietà cilena funziona e la marcia di teleton ha raccolto il doppio della cifra prefissata, più o meno 45-50 milioni di euro. E la foto a inizio del post è già diventata il simbolo del terremoto e della capacità dei cileni di rialzarsi.

Queste qui sotto, invece, sono un po' di foto di Valparaiso, scattate prima di partire per l'Isola di Pasqua.

lunedì 1 marzo 2010

Tutto torna

Se non avete passato l'ultimo weekend in vacanza sulla luna, sapete bene quello che è successo. Sono finalmente riuscito ad avere notizia di tutte le persone che ho conosciuto durante la mia permanenza in Cile, l'ultimo proprio stamattina. Chi più, chi meno, stanno tutti bene.
Chi segue questo blog da un po' di tempo sa che parlavo di una destinazione misteriosa, che era alla base della momentanea separazione con Giada, Mattia e Alessandro. Mi trovo sull'Isola di Pasqua, questo qui sotto è il post che avevo già preparato prima che succedesse il disastro. Quindi, fatevi un favore e fingete di non sapere dove mi trovo.

Mancano un paio d'ore alla partenza per Santiago del Cile e ho appena iniziato a preparare il mio bagaglio a mano, seguendo i miei soliti rituali prima di ogni volo: scelgo il libro da leggere a bordo, ricarico il lettore mp3, mi ricordo del cuscino da viaggio e di infilare anche un maglione anti aria condizionata. Arrivo all'aeroporto, metto a tacere il mio stomaco con un paio di panini e per non correre rischi compro da bere e da mangiare per il viaggio. SCIOCCO! Sto volando con LAN, la compagnia nazionale cilena, mica con Ryanair...! A bordo si trovano giornali e riviste, cuscino e coperta. Uno schermo multimediale incastonato nel sedile di fronte permette di intrattenersi con film, serie tv, giochi, video, documentari e musica. E ovviamente è incluso anche il pranzo. Mi tocca un salmone leggermente sapor plastica, ma almeno evito i ravioli alla finta ricotta che la mia vicina sembra apprezzare. 
E a proposito di vicina, C. entra di diritto nella galleria dei Personaggi (con la P maiuscola) di questo viaggio. E ci entra dalla porta principale dopo avermi raccontato il modo in cui ha deciso di concedersi una vacanza in Sudamerica. Una sera in veranda a osservare il tramonto su Città del Capo, il sole che scompare dall'orizzonte sudafricano e - mi dice tra il serio e il faceto - il sapore di una canna le fanno chiedere che direzione abbia preso il sole. Il mappamondo le svela che si è diretto verso Buenos Aires. Da lì è stato facile fare due più due e allontanarsi per la prima volta dai suoi due figli per godersi un po' il mondo. Dopo aver collezionato un'altra bandierina da incollare sul mappamondo del "vieni a trovarmi, mi raccomando", le nuvole iniziano a diradarsi e a far intravedere il segreto di questo volo. Un'isola in mezzo al Pacifico, anticamente chiamata Te pito o te henua, l'ombelico del mondo. "Signore e signori, è il capitano che vi parla. Stiamo per atterrare sull'Isola di Pasqua. Sono le 17,50 ora locale e la temperatura attuale è di 26 gradi."
Tempo fa, in Argentina, ci eravamo fermati ad applaudire un artista di strada. Quando il malcapitato di turno del pubblico gli lancia le due torce infuocate da prendere al volo sui trampoli, il giocoliere, puntando minacciosamente le torce verso il poveretto e tra le risate del pubblico, esclama: "Ricorda, nella vita tutto torna indietro!"
Ritorna la mia passione per i misteri di questo mondo, e quale mistero più misterioso dei Moai presenti sull'isola? E ritorna una poesia che avevo dimenticato da tempo, una delle mie preferite, giovane sbarbatello liceale: l'Ulysses di Lord Alfred Tennyson. Non so di chi sia la traduzione (un po' libera a dire il vero) di questo pezzetto della poesia, ma l'ho preferita alla versione di Giovanni Pascoli, un po' datata - chi di voi conosce la parola neghittoso alzi la mano!

Tutto ciò che incontrai nel mio andare ora fa parte di me.
E quello che ho visto è una porta che si apre sul nuovo:
e più vado avanti più vedo i confini lontani.
È penoso fermarsi, darsi un confine, non splendere più,
arrugginiti, perché si rimane inattivi.
Fingendo che il vivere sia respirare! Una fila di vite
non mi basterebbe; e non mi resta che un poco dell'una che ho.
Eppure quel poco è un momento rubato all'eterno silenzio, e porta con sé
cose ancora da fare, e vile sarebbe per questi pochi anni
restare in disparte con questo mio spirito grigio
che brucia e che sogna ancora il sapere: la stella che cade
lontano, là dove l'umano pensiero non sa immaginare.

Venite amici
che non è tardi per scoprire un nuovo mondo.
Io vi propongo di andare più in là dell'orizzonte
e se anche non abbiamo l'energia che nei giorni passati
mosse la terra e il cielo
siamo sempre gli stessi:
unica, eguale tempra di eroici cuori.
Indeboliti forse dal fato
ma con ancora la voglia
di combattere, di cercare, di trovare e di non cedere.


L'Isola di Pasqua è uno dei miei nuovi mondi. In attesa di scoprire gli altri.

domenica 28 febbraio 2010

Tutto è bene quel che finisce bene

Bene, Giada, Mattia e Alessandro sono riusciti a mandare un sms a casa, ma le comunicazioni sono ancora difficili...

Questo è il mio articolo sulla Repubblica come corrispondente improvvisato

Link articolo Repubblica.it

Tomoyuki mi sveglia nel cuore della notte. Dal suo inglese stentato riesco solo a capire che l'aeroporto di Santiago è stato chiuso e il suo volo annullato. Sono le 5 del mattino e mi chiedo cosa gli passi per la testa, svegliarmi per dirmi che è costretto a rimanere sull'isola. Poi sento le sirene, i cani che abbaiano, le galline nel giardino dell'ostello che sembrano avere la rabbia. Solo ora Tomoyuki si premura di dirmi che c'è un allarme tsunami sull'isola. Sono arrivato due giorni fa e mi becco un allarme tsunami?

Nella sala comune dell'ostello la tv è già accesa sul notiziario speciale. Arrivano prime notizie, dati, statistiche. Ma, com'è comprensibile, ognuno pensa a parenti e amici.

Ci dicono che esiste la possibilità che uno tsunami possa arrivare da queste parti verso le 9, ma qui siamo due ore indietro rispetto a Santiago e non ci spiegano su quale fuso orario dobbiamo regolarci. L'orologio sullo schermo tv è buono solo per aumentare il nervosismo. A quanto pare, soltanto la spiaggia di Anakena nella zona nord orientale dell'isola ha visto una leggera mareggiata. Gli abitanti della zona costiera sono stati trasportati per sicurezza verso l'interno dell'isola. Alcuni turisti fanno di tutto per rompere le scatole alle autorità e si dirigono verso la spiaggia perché "vogliono vedere l'arrivo delle onde". Certa gente ha ancora il cellophan intorno al cervello. Per fortuna le onde non arrivano, hanno già perso tutta la loro forza prima di riuscire a percorrere i 3700 chilometri che ci separano dalle coste cilene. L'isola non fa nemmeno in tempo a svegliarsi completamente che già tutto è tornato alla normalità. 

Anche da questi imprevisti si imparano molte cose. Il proprietario dell'ostello non riesce a mettersi in contatto con i genitori nel Cile continentale, eppure sorride e si scusa per non averci ancora preparato la colazione. I turisti cileni e giapponesi sono i più tranquilli, gli unici qui ad avere una cultura anti-sismica, quella che gli viene insegnata a scuola. Qualche giorno fa ero a Valparaìso, ospite di Alejandro, ingegnere di professione. Mi raccontava di come le case cilene vengano costruite utilizzando la stessa quantità di cemento che in Europa si userebbe per un ponte. Ci sono cose che un viaggiatore non riesce a capire. Uno dei terremoti più forti degli ultimi trent'anni sta causando "solo" un centinaio di vittime. In Cile le infrastrutture sono davvero anti-sismiche, qui una Impregilo qualsiasi non potrebbe mai esistere. Imparo anche che i numeri sparati a caso dalle tv non aiutano né chi si trova sul luogo del disastro, né i familiari lontani, ma servono solo a suscitare la compassione di chi non è toccato e ad aumentare lo share.

Il sorriso degli isolani, la loro tranquillità e il ritmo della vita pasquense mi infondono fiducia e sicurezza. Sto ancora aspettando un messaggio dai miei compagni di viaggio lasciati sulla terraferma, più una risposta da almeno un'altra decina di persone conosciute su e giù per il Cile. Qui dicono che i Moai abbiano lo sguardo verso l'interno dell'isola per proteggerla con il Mana, la loro energia spirituale. Ma ci sono anche sette statue rivolte all'infuori, verso il mare. Se riesco ad avere buone notizie da tutti i miei amici mi sa che invento una nuova religione.

sabato 27 febbraio 2010

Ultime notizie

Come avrete già sentito c'è stata una bella scossa in Cile. Mi trovo sull'Isola di Pasqua, ben lontano dalle coste cilene. Qui la situazione è tornata alla normalità già da un pezzo. C'è stato solo un allarme tsunami in via precauzionale, hanno evacuato gli abitanit costieri, ma niente di più.

Aspetto di avere notizie da Alessandro, Giada e Mattia. Credo che dovrebbero trovarsi dalle parti di Santiago, dove il terremoto ha causato comunque meno danni. Qui mi dicono che ci sono ancora problemi con le comunicazioni, quindi c'è solo da aspettare e niente allarmismi... Ci sentiamo prossimamente.